Figli (2020): recensione del film - Cinematographe.it
Figli

Scritto da Mattia Torre e diretto da Giuseppe Bonito, Figli narra la vita familiare di Giuseppe e Sara, due genitori con una figlia di 6 anni ed uno appena nato di nome Pietro. Proprio l’arrivo di quest’ultimo mette in crisi la coppia che inizia a discutere senza sosta, per banalità che nascondono verità molto più profonde.

Interpretato da Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi, la pellicola di Mattia Torre è dotata di ottime intenzioni e sfruttare la penna del compianto sceneggiatore di Boris, sembra un buon esperimento per descrivere la condizione della famiglia contemporanea alle prese con le difficoltà che la sua costituzione implica. Peccato però non riesca nel suo intento.

Per rappresentare la tipica famiglia italiana del ventunesimo secolo, si decide di ricorrere a dei prototipi e di condirli con sarcasmo ed ironia. C’è la moglie/mamma 40enne che vuol far la 15enne quando si rompe di badare ai figli, la bambina malefica gelosa del fratellino, il nonno che vizia la nipotina riempiendola di regali impensabili per compensare le mancanze genitoriali, giovani baby sitter allo sbando, la sessantenne cha fa lo stesso lavoro delle giovani e che per merenda fa solo uovo alla coque, e così via.

Gli elementi per realizzare un film fuori dagli schemi che tirasse fuori le componenti del concetto famiglia in modo dissacratorio, c’erano tutti. Tuttavia mancano del tutto di efficacia. Non esiste momento in cui le verità che si cerca di tirar fuori siano credibili. Eccetto il discorso della suocera di Mastandrea, ovvero il riferimento ai media che mirano alla sua generazione che un giorno ci seppellirà tutti, non esiste nessun elemento che porti avanti la narrazione senza cadere nella noia e nella retorica. Semmai, non si fa altro che trascinare la storia inserendo qua e là elementi che dovrebbero far ridere/piangere (l’orologio a cucù che il nonno regala alla nipotina, le baby sitter immonde, le amiche più bambinette della Cortellesi), ma che in realtà non producono la reazione sperata. L’ironia non arriva, e nemmeno il sarcasmo, ma più di tutto non si concretizza la satira. Lì si che avremmo vinto.

Ciò che da sempre contraddistingue lo sceneggiatore della pellicola quindi è del tutto mal distribuito e mal gestito. Rappresentare ciò che causa la crisi delle famiglie contemporanee non è un errore, e non lo è nemmeno ricorrere ad ingredienti sfiziosi, anzi. Ma non c’è coraggio a sufficienza. A partire dal titolo, che Figli è un titolo abbastanza ammiccante per attirare il pubblico, ma mai sfrontato, azzeccato e veritiero quanto lo sarebbe stato Genitori. Per poi passare al nonno che ricopre la bambina di regali improbabili cadendo nella demenzialitá qui rappresentata; per arrivare infine all’umana impreparazione del mestiere di mamma, ripiegata sulla banalissima serata con le amiche in minigonna, piuttosto che sulla paura o sulla reale mancanza di coscienza di ciò che l’essere madre implica; che se di queste madri si descrivesse lo spropositato stackanovismo, l’immaturitá, la competizione reciproca, l’aleggiante e palesato femminismo, la necessità di imporre ogni cosa ai propri figli per il loro bene (l’incipit del film era buono in questo senso), il sottovalutarli quando affermano di imparare più dalla vita che a scuola, il pianificarne i percorsi, il credere che la loro vita sia come un copione di un film, la voglia di giocare a far le mogli e mamme (se non addirittura le amiche dei propri figli) accompagnata dalla paura di arrendersi sul fronte lavorativo (che invece va gestito tanto quanto la genitorialità), l’abbandono riservato a figli che rimangono nelle mani di molti padri più pronte di loro al mestiere di genitore ma chiaramente non sufficienti, ecco, se fra le tante cose si sarebbe puntato a questo, allora sì, forse avremmo un affresco un pò più veritiero di quello dipinto da Figli sui figli. Specie quelli della capitale, dato che il film è ambientato lì e fa riferimento al solo ‘immaginario romano. Un pò di chiarezza, infine, l’avrebbe fatta la descrizione di rapporti tra fratelli e sorelle, che talvolta sopportano l’uno il peso dell’altra per via di un mancato bilanciamento familiare.

Se allo squilibrio delle famiglie italiane si doveva puntare, allora lo si doveva approfondire di più, lo si doveva sviscerare nella sua complessità. A partire dalla natura dei rapporti genitoriali, ad esempio. Quanto siano retti da reali equilibri, quanto si basino su matrimoni davvero voluti, se non si tratti di unioni capitate di cui ci si sia accontentati, o di mani forzate dal tempo che passa, se non dalla volontà di una sola delle persone coinvolte nel rapporto. Per comprendere poi anche la reale natura di molti figli esistenti al mondo. Considerata spesso viziata da beni materiali, lo è in realtà è in altri modi: talvolta è sorprendentemente fragile, talaltra incredibilmente forte, spesso immotivatamente ansiosa, in alcuni casi indietro rispetto ai tempi, troppo giocosa se non addirittura selvaggia, a volte precocemente saggia ed adulta, in altri casi sospesa tra sincerità, malizia ed invidia, in altri ancora immarcescibilmente onesta. E talvolta tutte queste cose insieme.

Certo, c’è da chiedersi se ironia e sarcasmo non sarebbero forse venute a mancare, se sondare terreni così insidiosi non avrebbe inficiato il tentativo del regista di analizzare il concetto di famiglia sullo sfondo delle condizioni economiche del nostro paese, tema introdotto all’inizio del film, ma poi in realtà del tutto abbandonato. Ma a quel punto c’è anche da domandarsi quale fosse l’intenzione del film, se il punto di vista lo si perde per strada ed i vari punti toccati con sarcasmo ed ironia non sfociano in qualcosa di più concreto di una mamma in minigonna, di baby sitter spiantate, e di nonni improbabili. Mai come in questi casi si può dire: ai posteri l’ardua sentenza