Strappare lungo i bordi, Recensione della Serie di Zerocalcare su Netflix

Strappare lungo i bordi è la serie Netflix scritta e diretta dal fumettista Zerocalcare e narra la storia mai cominciata di Zero ed Alice. Ambientata in capitale, la vicenda si dipana su più linee temporali: presente e passato si alternano lungo il viaggio che conduce Zero e due dei suoi amici verso Biella; di più, li porta verso un futuro immaginario, che in realtà è tale solo per lo spettatore.

Protagonisti della storia sono Zero, Sara (plauso alla sua descrizione dei bagni femminili), Secco ed Alice. Costantemente insieme dalle elementari i primi 3 sono amici di vecchia data, mentre Alice entra in scena quando i tre raggiungono l’età adolescenziale. La sua presenza non è costante ma ricorrente; Alice rimane di quei personaggi e di quelle persone che ci sono solo quando si sentono emotivamente bloccati.

La narrazione e la regia della serie del fumettista risultano abbastanza fluidi, i salti temporali sono ben sciorinati e difficilmente annoiano; c’è anche il giusto grado di ironia e divertimento, capacità di far riflettere lo spettatore non tanto nella vicende ma nei frammenti di vita messa in scena. Il punto però è: ok, ne siamo divertiti, ma davvero possiamo esserne fieri?

Zerocalcare nasce come fumettista che traccia i suoi percorsi di crescita riferendosi ad icone come Kurt Cobain, Joe Strummer e Che Guevara. Ne viene fuori un personaggio originale e politicamente orientato a sinistra, quasi uno studente spiantato colto abbastanza da lasciare che oltre ai libri siano i personaggi più disparati a formarne e definirne la personalità. Condivisibile o meno, ha comunque una sua chiara definizione pseudo-culturale, o pseudo- politica, fate voi. Tuttavia, qui, sceglie di rappresentare quello che è il suo sostrato romanesco, ciò che lo caratterizza e che di fondo riflette un pò la condizione della sua generazione cresciuta in capitale. Ecco perchè chiedersi: dobbiamo esserne fieri?

Perchè per quanto divertente, la generazione anni ’80 che vive in capitale viene rappresentata come sfigata, chiusa in un appartamento di massimo 50 metri quadri, attaccata al pc ad inviare tutta una serie di curriculum nella speranza di trovare un lavoro che gli dia contributi, impegnata a fare un lavoro nell’attesa di arrivare a quello dei propri sogni, che cerca di farcela senza genitori (a loro si deve dimostrare che si è autonomi) se non in casi estremi, una generazione talmente concentrata su se stessa da non accorgersi degli altri se non addirittura capace di scegliere di ignorarle. Così succede ad Alice, personaggio a malapena accennato, e mai realmente dipinto. Per quanto i flashback dell’ultimo episodio diano conto della sua estrema fragilità, cade quasi nella banalità. Perchè la ragazza emotivamente incostante, dipendente da un amore malsano, e non apertamente bisessuale è un pó uno stereotipo. Sara la definisce complessa dopo che Zero si sente in colpa per averla ignorata, afferma anzi che tutte le persone sono complesse, dunque non ci si può sentire in colpa per le azioni altrui. Ma non guarda alle cose nel modo giusto. Le persone non sono complesse, sono solo l’una differenti dall’altro e fin quando al concetto di differenza ormai riconducibile solo al political correct non si guarderà in modo corretto, gli occhi romani rimarranno ancora sospesi tra opposizioni come facile e difficile, senza mai accorgersi di quanto siano loro ad essere complessi; si perderà dietro a pseudo flussi di coscienza in accento irreprensibilmente autoctono, che giustificano atteggiamenti che non vanno per nulla in profondità. Giunti agli estremi, ci provano, ma non ci riescono. La fragile Alice appena accennata come la ragazzetta che ama i bambini(non a caso, sono gli unici che le danno reale affetto), timida e riservata perchè bisessuale, schiava di un amore che la causa principalmente sofferenze per certi versi ci sta, per certi altri un pò meno. Timidezza e riservatezza non sono necessariamente attribuibili a bisessualità nascosta, è letteralmente un clichè, sono tratti caratteriali che si possono ricondurre a migliaia di altri fattori (vita familiare, persone sbagliate di cui ci si è circondate, gente che non ha creduto in te). La fragilità che la mette nelle mani di un amore emotivo è invece qualcosa di inedito, difficilmente lo si inserisce in un panorama young adult, e forse sarebbe stato bene sondarlo un pò di più; con ogni probabilità si sarebbe davvero compreso che Alice è una semplice ragazza in cerca d’affetto e d’amore, di un’umanità che in una società come quella in cui vive non può ottenere, persa com’è in pensieri che tutto fanno fuorchè guardare alle persone così come realmente sono. O magari talmente capace di vederle da manipolarle o sfuggirne o ignorarle quando serve o conviene. Una società che sceglie di definire le persone complesse, piuttosto che semplici é naturalmente un luogo in cui Alice si sente sola, perchè viene lasciata da sola.

Zero non ha colpe per ciò che succede ad Alice, ma non può considerare il suo atteggiamento sano; prima di adagiarsi sulla complessità deve fare i conti con la semplicità che non è stato in grado di gestire. Non sei semplice perchè vieni da Rebibbia. Ci stai simpatico, sai farci ridere, sai in qualche modo rispecchiarci, ma sei davvero semplice solo se vai oltre, solo se non ti fermi alla complessità o la attribuisci realmente a chi ne è avvolto, solo se cogli la differenza, perchè solo così riesci a farla. Alice ci ha provato. Peccato non si comprenda abbastanza, peccato non la si dipinga abbastanza affinchè lo si comprenda, peccato non sia stata rappresentata in modo differente. Solo così Zerocalcare avrebbe fatto la differenza.